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Teologia del Patto e della Promessa

Nella storia di Israele – e quindi nelle radici profonde della nostra fede cristiana – convivono due grandi correnti teologiche: la teologia del Patto e la teologia della Promessa. È un dualismo fecondo, un dialogo mai del tutto risolto, che illumina ancora oggi il modo in cui ci accostiamo alla Scrittura e viviamo la fede. Questo articolo prende spunto dal lavoro di Paolo Sacchi, Storia del Secondo Tempio (Claudiana), per riscoprire la ricchezza di questa tensione.


La Promessa: un Dio che fa grazia


Secondo la teologia della Promessa, Israele esiste perché Dio lo ha scelto e amato. Questa elezione è un atto gratuito e irrevocabile: le colpe umane possono suscitare l’ira divina, ma non portano mai alla rovina finale. L’Alleanza non si fonda sulle opere dell’uomo, ma sull’iniziativa di Dio. È la dimensione dell’elezione incondizionata, radicata nell’esperienza di Abramo: «In te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Genesi 12:1-3).


Questa linea teologica sottolinea la sproporzione tra la potenza di Dio e la fragilità umana: l’uomo, dominato da un impulso al male (Genesi 8:21), non può salvarsi da sé. La salvezza è sempre dono, intervento, grazia. È un Dio sorprendente: «Farò grazia a chi vorrò fare grazia» (Esodo 33:19). È il Dio dei profeti e dei testi messianici, che promettono un futuro rinnovato nonostante i fallimenti dell’uomo. L’unto di Dio, il Messia, incarna la speranza di una giustizia impossibile da raggiungere con le sole forze umane (Isaia 11:1-9).


Il Patto: un Dio che chiama alla responsabilità


Accanto a questa fiducia nella promessa, vive la teologia del Patto. Qui il baricentro si sposta: Dio stringe un’alleanza con Israele, ma questa si regge sulla Legge, che Israele accetta liberamente: «Noi faremo tutto quello che YHWH ha detto e ubbidiremo» (Esodo 24:7). L’immagine del Patto sancito col sangue al Sinai mostra la serietà di questo vincolo: Dio affida la sua benedizione all’obbedienza del popolo.


In questa prospettiva, la libertà umana è determinante. La Legge diventa la via per vivere nella benedizione o per cadere nella maledizione: «Vedi, io metto oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male» (Deuteronomio 30:15). La responsabilità grava sulle spalle dell’uomo: la storia non è più solo scenario di un intervento divino, ma campo di scelta e di fedeltà.


Due atteggiamenti, non due sistemi


Sacchi avverte che non si tratta di due sistemi chiusi, ma di due atteggiamenti di fondo. Il Patto e la Promessa si intrecciano, spesso nello stesso testo. Persino nella Torah convivono tradizioni diverse: la Legge è dono dell’amore di Dio, ma chiede obbedienza; l’elezione di Israele è gratuita, ma può essere tradita.


Col tempo, queste correnti si stratificano: nel periodo persiano prevale la teologia del Patto, che diventerà dominante nel giudaismo rabbinico; fuori dal canone, nei movimenti apocalittici e messianici, sopravvive la Promessa come attesa di un intervento salvifico diretto di Dio.


Puro, impuro e il mistero del sacro


Il pensiero ebraico, osserva Sacchi, non si limita a Patto e Promessa: attraversa anche una complessa visione del sacro e del puro/impuro. L’impuro depotenzia l’uomo perché lo contamina, togliendogli la forza di accostarsi a Dio. Israele è popolo “sacro”, separato per appartenere al Signore. Questa dimensione mostra un Dio presente nella storia e nella materia: la santità non è astratta, ma tocca il corpo, la terra, i gesti quotidiani.


Il rischio di ridurre Dio ai nostri schemi


Dietro queste due vie, Patto e Promessa, c’è un rischio sempre attuale: voler racchiudere Dio nei nostri schemi. Se enfatizziamo solo la Promessa, possiamo cadere in un quietismo che ignora la responsabilità; se assolutizziamo il Patto, rischiamo un moralismo privo di grazia. L’ebraismo, come il cristianesimo, resiste a ogni riduzione: Dio resta libero, imprevedibile, oltre le nostre formule.


Conclusione: non armonizzare a forza, ma accogliere il mistero


Come accogliere oggi questa tensione? Forse il compito della teologia è non chiudere il mistero, ma custodirlo. La Bibbia ci sfida a leggere Patto e Promessa insieme, senza annullarli in una sintesi forzata. Possiamo abitare la Scrittura come un terreno di voci plurali, che ci chiamano a tenere insieme responsabilità e fiducia, obbedienza e grazia.

Solo così restiamo aperti al Dio vivente, evitando di adorare un Dio addomesticato, plasmato a nostra immagine. È la sfida di ogni credente: camminare dentro la tensione, senza paura di contraddizioni apparenti, perché lì abita il Dio che salva, con promessa e con patto.


Davide Galliani


La teologia della Promessa
La teologia del Patto


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